Il Museo del Grano di Ortacesus vuole
essere un contributo alla ricostruzione e alla conoscenza del lavoro
contadino nella vasta area Trexentese, affrontando il tema del “ciclo”
produttivo del grano nel recente passato, elemento portante della vita
sociale di Ortacesus e della Trexenta.
Restituire visivamente
processi e oggetti quasi completamente scomparsi non è cosa facile, e
non lo è stato nemmeno durante l’allestimento del Museo del grano.
Le
immagini, le parole e gli oggetti esposti non possono restituire
filologicamente una realtà, dove gesti, azioni, oggetti si collocavano
in un contesto di ambiente e di rapporti sociali ormai irrecuperabili.
Lo stesso Salvatore Satta, nel “Il giorno del giudizio”, affermava che:
“…La difficoltà più grande che io ritrovo in questo ritorno al
passato è quella di mantenere le prospettive. E si capisce perché
ognuno di noi, anche se si limita a guardare in se stesso, si vede
nella fissità di un ritratto, non nella successione dell’esistenza.
La successione è una trasformazione continua, ed è impossibile cogliere e fermare gli attimi di questa trasformazione…”
L’oggetto
musealizzato, ormai completamente sradicato dal proprio contesto
d’origine, con l’inevitabile perdita di parte della sua storia, della
sua funzione primaria e della sua vera identità, acquista un nuovo
linguaggio rispondente a ruoli e significati diversi che necessitano di
essere potenziati affinché non restino inespressi.
Ma la metodologia
seguita nella ricerca, il recupero e l’allestimento della mostra
permanente del Museo del grano, è stata orientata volutamente in quella
direzione: l’obiettivo era quello di realizzare una essenziale funzione
di tramite necessaria ad accostare l’utente al bene musealizzato nella
dimensione più opportuna, sottraendo gli stessi oggetti ad una
decontestualizzazione quasi inevitabile. Il Museo, quindi, non più
visto come semplice contenitore di oggetti, ma come un’ istituzione
culturale attiva e propositiva, con il compito di sollecitare
l’incontro tra il pubblico ed i materiali in esso contenuti, cercando
di stimolare il recupero della memoria del passato finalizzandola al
dialogo con la realtà del presente.
E proprio grazie a questo
lavoro, il Museo del Grano di Ortacesus, inaugurato il 18 dicembre
2005, è diventato nel giro di pochissimo tempo, una delle strutture
espositive che meglio documentano la vita contadina sarda tradizionale,
in tutti i suoi aspetti, legata alla coltura e alla lavorazione del
grano duro.
L’abbondanza del materiale reperito in tutta la
Trexenta, è stato esposto seguendo un razionale filo conduttore.
Attraverso una scrupolosa ricerca scientifica e una meticolosa scelta
di esposizione, il cui perno portante è la scelta di conservare la
caratteristica divisione sessuale del lavoro che vigeva nel mondo
contadino sardo, si è arrivati ad offrire ai visitatori, un discorso
museale misto, che si presenta con vari oggetti, immagini fotografiche,
disegni e nastri audiovisivi, discorsi scritti e orali, che
ricompongono il mosaico dei vari ambienti di vita e di lavoro del
piccolo universo contadino trexentese. Parte integrante
dell’esposizione del Museo del Grano, è infatti la ricca documentazione
scritta, parlata e iconografica recuperata sul posto, in cui la
popolazione locale è diventata, oltre che donatrice degli attrezzi
museali, anche una importante fonte di informazioni, in cui la parola
chiave da interpretare è e rimane sempre la terra. Terra intesa come
lavoro dei campi e coltivazione del grano, annata agraria del grano e
intorno al grano. Terra intesa anche come preparazione e selezione del
seme, terra come mietitura del suo frutto più prezioso, e legati al
frutto, tutti quei lavori domestici caratterizzati da una forte
presenza femminile, quali la macinazione del grano, la sua setacciatura
e il tradizionale rito della panificazione. Lavori questi ultimi due,
che venivano svolti in un'unica stanza:"S'omu de su strexu de fenu",
interamente riproposta all’interno del Museo del grano. Essa aveva una
duplice funzione: era la stanza dove si ricevevano gli ospiti, ma
soprattutto, era la stanza femminile per eccellenza, dove si svolgevano
le operazioni legate alla panificazione.
In essa trovavano,
quindi, collocazione gli utensili in paglia, usati nella preparazione
del pane e per la preparazione della farina.
…M’arregodu, comenti
chi fessit oi, is cantus a mutetu o a cruba, is sonus de su
scedatzadori chi assimbillánt a is arrepicus de is campanas de crésia.
…Apustis perou su spàssiu acabàt e si boccemus de traballu…
Museo del grano –Intervista a Vitalia Aresu